Oggi voglio parlare di guarigione o meglio di una prospettiva diversa di guarigione. Prima di incominciare un percorso personale di crescita che mi ha portato in seguito a diventare counselor, avevo un’idea di guarigione che non è la stessa di oggi. Una volta credevo che la guarigione fosse un concetto associato direttamente alla malattia, per cui se non ero perfettamente in salute, mi sentivo costretta ad andare dal medico e a sottopormi alle cure che mi venivano indicate.

In questo modo, semplicemente, mi ponevo in uno spazio in cui “non avevo” responsabilità alcuna, ma ero un soggetto passivo. Allora non sapevo per quale assurda sfiga quel malessere o quella malattia erano “capitati” proprio a me. Non solo. Avevano anche la cattiva abitudine di ritornare! Vivevo una sorta di vittimismo della malattia. Una specie di malsana idea fantozziana che qualcuno o qualcosa ce l’avessero con me e questo pensiero era alla base del concetto di quello che “mi succedeva”.

Nel tempo però ho imparato che questa idea che avevo non era proprio così vera. Mi spiego meglio.

La malattia non è mai derivante da un solo aspetto, ma dipende da una serie di fattori ed in ogni caso non può e non deve essere vissuta come una sorta di punizione.

Soprattutto nelle malattie più gravi o nelle sventure fisiche peggiori sembra che ci sia una sorta di accanimento da parte nostra nel sentirci e considerarci in qualche modo sbagliati rispetto a questo vissuto. Indaghiamo il motivo per il quale ci sembra che la malattia ci abbia colpito come se fosse frutto di una punizione.

Ma con questo tipo di pensiero di sicuro l’informazione profonda che arriverà alle nostre cellule non sarà certo quella di accedere alle naturali risorse del corpo e alla sua innata intelligenza guaritrice.

La guarigione, così come la malattia può essere il frutto e il risultato di un’apertura e una consapevolezza sempre maggiori, nei confronti di aspetti fisici, emotivi, relazionali, lavorativi, insomma di vita.

Potremmo quasi dire che la malattia parla di noi, di come abbiamo vissuto, delle cose che non siamo riusciti a superare, di quello che abbiamo introiettato dentro di noi e che non siamo riusciti con un processo alchemico a trasformare. Ma c’è anche un altro aspetto molto interessante di questo percorso davanti al quale la malattia ci mette: l’accettazione e l’integrazione di quello che accade. Non che ci accade. Perché è vero che accade a noi, ma che noi lasciamo che accada in modo da poter diventare consapevoli o lasciare che le persone intorno a noi lo diventino. A volte siamo solo grandi anime messaggere. A volte la difficoltà può consistere proprio nel non accettare la malattia e opporsi con tutte le proprie e a volte poco rimanenti forze per resistere alla realtà. Per manifestare lo sforzo di volere le cose di verse da come sono.

Non accettare le cose significa tenerle distanti, non riconoscerle la giusta dignità e alimentarle di quella energia vitale che invece potremmo rivolgere a noi e alla nostra guarigione qualunque cosa ciò significhi per noi.

Quando ci permettiamo di lasciare fluire le cose spontaneamente la nostra forza vitale torna a scorrere dentro di noi e si mette al servizio di quella intelligenza corporea che sa cosa fare.

Ci giungono messaggi dal profondo pronti a liberarci e a farci andare oltre l’attaccamento all’idea che le cose debbano andare proprio come vogliamo noi.

Oriana Russi newsletter
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